Meno problemi, con le connessioni bilanciate

Anzitutto si deve prendere atto che l’argomento “connessioni” richiama da sempre un grande interesse da parte di tutti gli audiofili. Cosa che ha generato una serie interminabile di teorie ed annessi prodotti commerciali che si vendono alla grande, anche a prezzi che è spesso difficile poter considerare giustificati.

Il motivo di tanto fermento è abbastanza semplice da individuare: non sempre, ma molto spesso, quando viene cambiato un qualunque cavo di connessione fra due elementi del sistema hi-fi è facilissimo provare la sensazione che nel nostro ascolto possa essere cambiato qualcosa di importante. A volte in meglio, a volte in peggio…

Fra i motivi della nascita di tali sensazioni possono essere annoverate tante di quelle cose che tentare di analizzarle tutte qui sarebbe proibitivo. Ci limiteremo quindi a sottolineare che, messe da parte le sempre sussistenti e non trascurabili componenti psicoacustiche, i motivi “fisici” alla base di cambiamenti oggettivi del segnale lungo i cavi rimangono comunque numerosi.

Proviamo ora ad analizzare alcuni fatti inerenti le connessioni dette a livello “di segnale”, rimandando all’apposita pagina sul mio sito web per quanto riguarda quelle dette “di potenza”, ovvero fra finali e altoparlanti (dei cavi di alimentazione parleremo eventualmente in altra sede…).
I cavi “di segnale” normalmente impiegati in hi-fi (messi finalmente da parte quasi totalmente i DIN), sono tipicamente quelli dotati alle loro estremità di connettori pin RCA.
Tali cavi servono a connettere fra loro uscite ed ingressi detti “sbilanciati”, ovvero quelli nei quali il valore della tensione relativa al segnale che si trasferisce viene rilevato e trasmesso avendo come riferimento e “conduttore di ritorno” le masse dei due apparecchi che vengono collegati fra loro.
Quando ascoltiamo il suono che esce dai nostri altoparlanti, ascoltiamo dunque un suono che dovrebbe riprodurre lo stesso andamento assunto dalla tensione alternata presente all’uscita dell’apparecchio che pilota il nostro finale, fra il conduttore centrale del cavetto coassiale impiegato e la massa dello stesso apparecchio, normalmente connessa tramite il conduttore (calza) di schermo a quella del finale.
La prima cosa che possiamo dire a proposito di questa comunissima modalità di connessione è che essa presuppone che fra le masse dei due apparecchi che vengono collegati fra loro, prima che il cavo venga installato, non siano presenti tensioni di nessun tipo (differenze di potenziale, più correttamente…). E invece questo, e le cause possono essere tante e diverse, non è vero quasi mai. Perciò, quando connettiamo il nostro cavetto, non facciamo altro che “costringere” le due masse a portarsi allo stesso potenziale, spostando di fatto il valore del “riferimento” della tensione in uscita dell’apparecchio “pilotante” ma anche quello dell’ingresso dell’apparecchio “ricevente”.
In pratica il primo risultato negativo di tale operazione potrebbe consistere nella nascita di una piccola tensione di “ronzio” a 50 Hz, ma, nel caso di stadi di uscita e di ingresso “accoppiati in continua”, anche il pericolo di piccoli spostamenti nelle relative polarizzazioni di funzionamento.
In quest’ultimo caso poi, anche la connessione diretta fra uscita e ingresso tramite il conduttore “caldo” del nostro cavetto coassiale, costringe ad equiparare i piccolissimi potenziali continui eventualmente presenti, causando comunque una sia pur piccolissima variazione nelle condizioni di lavoro di entrambi gli stadi.
Detta così, la questione sembrerebbe di importanza fondamentale, e tale da poter essere causa di danni inimmaginabili, e invece anche i più talebani assertori della supremazia dell’ascolto dovrebbero comunque prendere atto che all’atto pratico le apparecchiature moderne utilizzano circuitazioni di ingresso e di uscita talmente ottimizzate e collaudate, oltre che dotate di amplissimi margini di “manovra” nei dati di progetto previsti, che le alterazioni di cui stiamo parlando rischiano quasi sempre di rimanere nel limbo del famoso “Campo di Improbabilità” della “Guida Intergalattica dell’Autostoppista”.
Non dobbiamo quindi preoccuparci affatto?
Ma neanche per sogno. Tutti sanno, o dovrebbero sapere che il punto fermo dell’approccio “appassionato” all’hi-fi è la ricerca della “Certezza dell’Ascolto”.
Come potremmo quindi ascoltare in tutta tranquillità un nostro impianto nel quale il principio di Heisenberg fosse stato così chiaramente esplicitato?
A ciò aggiungasi che l’usanza invalsa negli ultimi tempi di considerare “migliori” numerose circuitazioni e componentistiche obsolete che non possono garantire sempre e comunque una elevata insensibilità ai fenomeni appena esposti. Fatto che consente molto spesso di “sentire chiaramente”, al variare dei cavi di connessione, variazioni nel suono che stiamo ascoltando, tali da poterci fare gridare alternativamente allo scandalo o al miracolo con una notevole probabilità di non essere affatto impazziti.
D’altronde, se in tali casi noi andassimo a misurare i livelli di distorsione e gli andamenti delle risposte in frequenza dell’intero sistema sul quale stiamo operando, spingendo la nostra analisi agli stessi valori piccolissimi caratteristici della sensibilità del nostro sistema uditivo, qualcosa troveremmo sicuramente.
A quanto già detto possiamo aggiungere che, soprattutto in caso di cavi di una certa lunghezza, ma non solo, eventuali “segnali di disturbo”, soprattutto ad alta frequenza, potrebbero essere captati anche da un buon cavetto coassiale (“schermato” per sua natura) ed essere condotti a “dare fastidio” a stadi di uscita e/o di ingresso particolarmente sensibili a tali elementi estranei (ben pochi in verità, anzi quasi nulli, ma come abbiamo visto più sopra la parola “quasi” non piace affatto agli audiofili più impegnati).

Cosa succede allora se al posto del cavo coassiale ed annessi pin RCA andiamo ad usare una connessione “bilanciata”.
Se gli apparecchi da connettere rimangono quelli dotati esclusivamente di uscire e ingressi sbilanciati cui ci siamo riferiti fin’ora, cambia ben poco.
Una connessione “bilanciata”, in questo caso può essere costituita da due “traslatori” (trasformatorini di ottima qualità e rapporto di trasformazione unitario, ovvero tali che alla presenza di una certa tensione alternata su uno dei due avvolgimenti di cui ciascuno di loro è dotato si assiste alla comparsa di una tensione alternata identica ai capi del secondo avvolgimento) posti agli estremi di un cavo composto da due conduttori interni strettamente ravvicinati oltreché di una “calza” di schermo esterna.
Cosa accade se utilizziamo tale aggeggio per connettere una uscita e un ingresso sbilanciati?
Il “primario” del primo traslatore verrà ad essere connesso fra la massa e il “centrale” dell’uscita dell’apparecchio “pilotante” e il secondario dello stesso traslatore sarà connesso ai due conduttori interni del cavo.
All’altro lato del cavo, i due conduttori sono collegati al “primario” del secondo traslatore mentre i capi del secondario saranno collegati l’uno alla massa dell’apparecchio “ricevente” (tipicamente, nel nostro esempio, un finale) e l’altro al “centrale” del pin RCA.
E la “calza” esterna? Anch’essa risulterebbe connessa fra le due masse dei due apparecchi come uno dei due conduttori interni.
Qual è la differenza rispetto all’uso di un normale cavetto coassiale senza traslatori?
La presenza della calza connessa ad entrambe le masse innesca comunque alcuni effetti negativi già visti, mentre il fatto che la connessione fra i due “centrali” dei due apparecchi avvenga tramite l’effetto “isolante in continua” (detto “galvanico”) operato dai traslatori stessi potrebbe salvare da eventuali effetti negativi che potrebbero nascere nel caso di stadi di uscita e ingresso entrambi “accoppiati in continua” (ovvero senza l’interposizione di condensatori).
In questo caso, per eliminare anche il primo dei due effetti basta che la calza venga connessa alla massa di uno solo dei due apparecchi.

Contemporaneamente, l’uso di due conduttori, intrecciati o non, all’interno della calza schermante renderà il nostro cavo particolarmente “resistente” all’attacco di segnali di disturbo esterni, comunque di più rispetto al semplice e pur ottimo conduttore coassiale. Come? Poiché i due conduttori interni occupano sostanzialmente la stessa posizione nello spazio, saranno influenzati in maniera praticamente identica da ogni campo di interferenza esterno. Essi si troveranno perciò in ogni istante allo stesso potenziale sommato ovviamente al segnale da trasportare.
Questo segnale viene immesso nel secondo traslatore in forma di differenza di potenziale tra i due capi del suo primario. Poiché il segnale interferente è presente allo stesso modo su entrambi i conduttori esso non potrà produrre alcuna differenza di potenziale fra loro e non sarà perciò trasferito.
Ma qual è la condizione nella quale la connessione bilanciata può espletare totalmente tutti i suoi benefici effetti?

Quando gli apparecchi da connettere sono dotati di stadi di uscita/ingresso bilanciati “nativi” (che per loro natura non necessitano dell’uso di traslatori esterni).
Il che presuppone che si tratti di circuiti “differenziali”, nei quali la tensione che costituisce il nostro segnale non viene prelevata fra un punto “caldo” e la massa, bensì fra due punti del circuito “entrambi caldi”, sia pure con fasi opposte. In tal modo le due masse vengono escluse totalmente dalla connessione e il segnale viene quindi trasferito fra due apparecchi che anche dopo che la connessione è avvenuta continuano a funzionare (si suppone bene…) esattamente come prima che il cavo venisse installato. Il tutto senza dover neppure attraversare le pur piccolissime non linearità di ottimi traslatori, perfettamente progettati e realizzati, ed eliminando anche i pur corti tratti di collegamento “sbilanciato” tra gli apparecchi ed i traslatori stessi.
In realtà, per ottenere questo risultato non è assolutamente necessario che sia l’uscita che l’ingresso che vengono collegati con il cavo bilanciato siano del tipo differenziale. Avendo l’accortezza di collegare, come già detto, la calza esterna ad uno solo dei due apparecchi, anche la connessione fra una “uscita nata sbilanciata” ed un “ingresso differenziale” (cioè un ingresso bilanciato “nativo”) può offrire comunque praticamente tutti gli stessi vantaggi. In questo caso occorre installare un solo traslatore, da porre all’uscita dell’apparecchio “pilotante”, all’inizio del nostro cavo “doppio”.
Ma cos’è che rende un “ingresso differenziale” insensibile ai disturbi che potrebbero nascere a causa della connessione diretta fra le masse dei due apparecchi, attuata dal collegamento della calza schermante ad entrambi? Semplicemente il fatto che la tensione di segnale che viene prelevata da un tale ingresso ed inviata agli stadi successivi è automaticamente immune da eventuali variazioni del potenziale di ciascuno dei due conduttori rispetto alla massa dell’apparecchio su cui il differenziale è montato. E ciò perché nel momento in cui il segnale viene “ricostruito” andando a vedere la differenza di potenziale alternato presente fra i due conduttori, le differenze di potenziale, uguali fra loro, che fossero nate fra ciascuno di questi e la massa si eliderebbero a vicenda.
In tutto ciò, mi accorgo di non avere nemmeno sfiorato le problematiche relative agli accoppiamenti fra le diverse impedenze di uscita e di ingresso degli apparecchi da collegare.
Essendo un argomento se possibile ancora più lungo dell’attuale, mi limiterò a ricordare che la fisica suggerisce che le impedenze di “uscita” siano le più basse possibile e che corrispondentemente quelle di “ingresso” siano invece le più alte possibile (una regola pratica recita, almeno in un rapporto 1:10).
Sia in presenza di impedenze corrette (la quasi totalità dei circuiti moderni) che “sbagliate”, la differenza, sotto questo aspetto, fra un collegamento sbilanciato ed uno bilanciato è nulla.
E nel caso di impedenze “sbagliate” (molte autocostruzioni talebane, ad esempio) cosa succede?
Possono succedere tantissime cose, variabili a seconda dell’errore in essere.
Quello che possiamo dire è che praticamente sempre ci si troverà di fronte ad una forte sensibilità alle caratteristiche dell’impedenza dei cavi impiegati. E che in molti di questi casi, andando ad effettuare semplici misure di risposta in frequenza all’ingresso dell’apparecchio “ricevente” troveremo variazioni superiori agli 0,1 dB in banda audio (cioè quella dei segnali acustici che possiamo sentire). Il che giustifica ampiamente i risultati di ascolto riportati così spesso da moltissimi “ascoltoni”, specie quando gli apparecchi impiegati non sono costruiti con criteri Galileiani…

All’atto pratico, i fenomeni e le tipologie correlati a questo argomento sono così tanti che poter prevedere “a priori” se una corretta connessione bilanciata migliorerà o meno le nostre sensazioni d’ascolto del nostro impianto, per di più in assenza di informazioni tecniche complete e approfondite sulle caratteristiche e sulle condizioni di installazione dello stesso, è praticamente impossibile.
Pur sapendo che non potremo mai rilevare “sfracelli”, ai tanti incontentabili non resta che “provare”, e decidere “a posteriori”… Tenendo sempre presente che non tutti i traslatori sono “buoni” a priori, specie quelli molto economici… Mentre i cavi di segnale che dichiarino capacità taumaturgiche tali da poter far funzionare bene anche connessioni sbilanciate sospettate di poter essere “sbagliate”, devono essere sempre considerati quantomeno con molto sospetto.

Possiamo peraltro concludere che gli apparecchi nativamente dotati di connessioni bilanciate (ovvero dotati di ingressi e uscite differenziali), spesso di derivazione professionale, sono normalmente costruiti con criteri tali da poter funzionare sempre bene, anche nelle peggiori condizioni, praticamente mai riscontrabili in casa.
Sono proprio questi infatti ad avere intrinsecamente affrontato e risolto il problema della invarianza della connessione e che non risentiranno quindi mai di prestazioni variabili al variare dei cavi impiegati.

A questo punto, ci preme sottolineare che l’uso di connessioni bilanciate è in grado di risolvere anche la maggior parte dei problemi che potrebbero sicuramente emergere quando decidiamo di connettere al nostro sistema Hi-Fi un PC o qualsivoglia dispositivo multimediale portatile dotato di alimentazione da rete. In tutti questi casi, fra l’altro, il timore che l’uso di traslatori possa ridurre la qualità del segnale assumerebbe senza dubbio una rilevanza assolutamente secondaria.

Altro “ambiente” nel quale l’uso di connessioni bilanciate può aiutare a risolvere numerosi problemi connessi all’impiego di alimentatori switching come pure alla presenza di disturbi rilevanti, è quello del Car Stereo. E non per nulla gli apparecchi Hi-Fi Car dotati di fatto di circuiti di uscita e di ingresso bilanciati, sia pure “mascherati” dalla presenza di connettori RCA, sono ormai numerosissimi.