Perché esistono diffusori con alte impedenze?

Prendo spunto dall’ottima risposta data il 6 novembre al Sig. Franchi che le poneva la domanda sui 4/8 ohm…….

La mia domanda è:
Da dove deriva l’esigenza di avere diffusori (es Rogers LS 3/5a) a 15 ohm?
E, aggiungo, anche sistemi fino a 16 ohm…?
Grazie,

GianLuca Specchia – (Roma)


La domanda ha certamente un senso e a prima vista, risultando coinvolti nomi sacri e ambiti “pro” (Le Rogers LS 3/5a sono nate come monitor BBC, non dimentichiamolo) “cugini” di quelli hi-fi, ma che potrebbero avere (e di fatto hanno spesso) esigenze anche molto diverse, si potrebbe pensare che non sia facilissimo rispondere…

Ma poi, facendo mente locale sui soliti parametri di base di ogni sistema elettroacustico, la risposta appare del tutto ovvia.

Tutti i nostri impianti audio hi-fi e home theatre prevedono che gli stadi finali degli amplificatori si comportino quanto più possibile come “generatori di tensione” (e non di corrente). Ovvero che siano in grado di fornire ai loro morsetti di uscita una tensione proporzionale al segnale presente al loro ingresso in modo del tutto indipendente dalle caratteristiche del carico ad essi collegato.

Ma, nel mondo reale, generatori di tensione ideali (che sono per definizione privi di impedenza interna e capaci di erogare qualsiasi valore di corrente sia richiesto) non esistono. E il motivo principale è da ricercarsi nel fatto che l’impedenza interna dei nostri ampli varia fra valori inferiori al decimo di ohm per gli “stato solido” con fattori di smorzamento su 8 ohm superiori a 80 e valori da circa 0,5 ohm in su (spesso 1 o 2 ohm) per praticamente tutti gli ampli a valvole, a maggior ragione se dotati di fattori di controreazione volutamente ridotti.

In queste condizioni la tensione di segnale che si troverà ai morsetti delle casse dipenderà dal valore assunto dall’impedenza delle casse stesse alla particolare frequenza di esame e la risposta in frequenza consegnata alle stesse casse tenderà ad essere sempre più diversa da una retta orizzontale e sempre più simile al modulo dell’impedenza delle casse usate, quanto più l’impedenza del nostro amplificatore sarà alta e quella delle casse bassa.

E in corrispondenza a questa variazione della risposta in frequenza avremo tutte le numerose conseguenze sull’ascolto che una risposta non piatta può comportare e di fatto comporta sempre.

Facendo ora un salto indietro nel tempo, ci ritroveremmo in un mondo nel quale tutti gli amplificatori erano a valvole. Ma nell’uso professionale la richiesta di linearità della risposta in frequenza era primaria anche allora come oggi (anche prima che l’hi-fi domestica esistesse davvero). Ecco quindi che l’uso di altoparlanti da 16 ohm, in quell’ambito, aveva una giustificazione tecnica ben precisa.

Inoltre… Quando costruire gruppi magnetici caratterizzati da induzioni B molto alte era difficile e costosissimo, per garantirsi da un eccessivo aumento del QTC degli altoparlanti nonché cercare di ottenere la massima efficienza possibile (ricordiamoci che le potenze in gioco molti decenni fa erano bassine alquanto, rispetto a quelle di oggi…), la ricerca di BxL il più alti possibile aumentando di molto L era un must. E aumentando L (cioè la lunghezza degli avvolgimenti delle bobine mobili, senza peraltro poter allargare il diametro del filo e conseguentemente il traferro per non penalizzare il già modesto B), l’impedenza non poteva che aumentare. Da cui la prevalenza dei 16 ohm negli altoparlanti professionali, che in una certa misura è presente ancora oggi…

Ma chi utilizzi oggi buoni ampli a stato solido e cavi a bassa resistenza non ha nessun bisogno di andare a cercare casse da più di 8 ohm di impedenza nominale… E anche quelle da 4 ohm non gli creeranno assolutamente nessun problema.