Deep stereo

Buongiorno Renato,
sul sito di Audio Review ho letto un articolo che descrive a grandi linee una nuova tecnica di riproduzione che viene chiamata Deep Stereo, tu ne hai già discusso?

1) Con i nuovi formati multicanale, già ampiamente affermati come standard commerciali, qual’è l’utilità di questo artificio matematico/informatico?

2) Hanno valore i presupposti di questo D.S. alla luce delle diverse tecniche di ripresa stereofonica e di mastering finale dei moderni supporti digitali?

3) Secondo te può essere considerato, quantomeno “filosoficamente”, un valido approccio al miglioramento della stereofonia?

Mi piacerebbe conoscere il tuo parere in merito.

Carlo De Marinis (Roma)


Caro Carlo,
anzitutto ti ringrazio di avermi posto le tue domande pubblicamente.
In questo modo potrò cercare di chiarire le idee anche a molti altri appassionati che a questo punto potrebbero averle anche abbastanza confuse. Per risponderti meglio sono andato a documentarmi sul link che mi proponi ed ho trovato subito almeno un paio di cosucce che mi quadrano poco…
Intanto il fatto che il testo di presentazione non sia firmato. Non è che sia una cosa gravissima, ma visto che diverse affermazioni che ho trovato sono poco condivisibili, mi sarebbe piaciuto sapere a chi le dovrei attribuire.
In ogni caso, una delle frasi che mi hanno un poco sconcertato è la seguente:

“…Un difetto di alcuni degli articoli pubblicati in passato in materia di stereofonia e percezione dei suoni, molti dei quali ho ampiamente riletto prima di scrivere questo, è stato forse quello di non mettere subito i lettori in condizione di capire dove si andava a parare…”

Forse non ci avrei fatto caso più di tanto, se quello “…stereofonia e percezione…” non fosse “casualmente” identico al titolo di un mio articolo pubblicato proprio su Audio Review molti anni fa (quando era una rivista seria) e tutt’ora leggibile al seguente Link: stereofonia e percezione

Ora… Dato che quando io ho scritto quell’articolo non volevo “andare a parare” proprio da nessuna parte, se non a cercare di insegnare un minimo di ciò che negli anni avevo avuto la fortuna di poter imparare… Mi sono diciamo così “un poco indignato”. E mi ha anzi molto stupito che l’anonimo estensore (chiunque esso sia e qualunque artificio vorrà usare per difendersi) pur avendo evidentemente letto il mio articolo (anche perché, se non lo avesse fatto sarebbe doppiamente colpevole, dato che quello è uno dei pezzi più importanti che quella rivista abbia mai pubblicato e fa parte di diritto della sua storia migliore), non abbia evidentemente capito proprio nulla. Come cercherò di chiarire meglio nel seguito (punto A).

La seconda parte della presentazione del cosiddetto Deep Stereo che ha attratto la mia attenzione è quella nella quale, riportando uno scritto del 1931 si scrive, fra l’altro:

“…Il modo in cui le orecchie determinano la direzione di una sorgente sonora non è ancora completamente conosciuto ma è piuttosto ben chiaro che i fattori principali in gioco sono le differenze di fase e di intensità tra i suoni che raggiungono le due orecchie, l’influenza di ciascuna di queste dipendendo dalla frequenza del suono emesso…”

e

“…Si è stabilito che la frequenza alla quale la mente cambia il metodo di discriminazione dalla fase all’intensità avviene sopra i 700 cicli per secondo…”.

Il motivo per cui le due frasi precedenti hanno attratto la mia attenzione consiste nel fatto che sono le stesse considerazioni cui sono giunto a suo tempo io quando ho pensato alla tecnica di emissione DSR, evolutasi successivamente in NPS. Chiarirò meglio in seguito anche questo aspetto e come esso si contrappone al Deep Stereo (punto B).

Sorvolerò invece sulla considerazione di Blumlein riportata a sostegno della filosofia su cui si fonderebbe la tecnica Deep Stereo. E cioè quella secondo cui per poter usufruire di un buon effetto stereofonico le differenze alle alte frequenze fra i canali sinistro e destro vanno artificialmente incrementate rispetto a quelle che si avrebbero registrando con due microfoni (evidentemente omnidirezionali) posti ad una distanza fra loro uguale a quella delle orecchie di un ipotetico ascoltatore.

Le tecniche di ripresa stereofonica proposte dallo stesso Blumlein nonché la evoluzione che le stesse hanno evidentemente subito dal 1931 ad oggi, è stata tale da poter considerare ampiamente condivisa e superata questa considerazione. Di fatto, ad essere effettuate con due microfonini omnidirezionali posti ai lati di una testa (naturale o artificiale) sono rimaste solamente le poco fortunate (nonostante il loro incredibile realismo) registrazioni binaurali.

A) Tutte le riprese stereofoniche destinate ad essere riprodotte attraverso due normali casse acustiche, compresa quella di Blumlein, sono invece effettuate con tecniche microfoniche e non tali da Incrementare ed ottimizzare le differenze fra i segnali dei due canali fino al punto (verificato sempre sperimentalmente con dei diffusori “monitor”) di riuscire ad ottenere l’effetto stereo desiderato (avete mai sentito parlare del panpottaggio?). Non vedo quindi perché tale effetto debba essere ulteriormente aumentato artificialmente con un trattamento digitale standardizzato che, in chi abbia capito come funziona un ascolto stereofonico, può far nascere non pochi dubbi.

B) Il fatto che già ai tempi di Blumlein fosse chiaro che le differenze di intensità fra i due canali stereo “alle frequenze dai 700 Hz in su” giocassero un ruolo fondamentale e prioritario nella ricostruzione della scena sonora da parte del nostro sistema uditivo, non fa che accrescere la credibilità dei presupposti delle tecniche DSR e NPS, che fondano proprio sulla modellazione dell’andamento della dispersione dello spettro audio al di sopra di quelle frequenze i loro presupposti di funzionamento. E veniamo allora a cercare di capire perché, secondo me, il cosiddetto Deep Stereo dovrebbe più adeguatamente chiamarsi “Flat Stereo”.

Per capire cosa intendo dire basterà andarsi a leggere, senza preconcetti o ideologismi di parte, quello che ho scritto qui:

DSR&NPS (verticale)

DSR&NPS (orizzontale)

Emissione NPS

Insomma: emettendo i segnali “centrali” (che il Deep Stereo evidentemente presuppone siano quelli diretti che si presentano uguali sui due canali, dimenticando che anche tutto il “vero riverbero” è di fatto “mono”) da una cassa centrale del tutto convenzionale e uguale alle laterali si perde quasi del tutto la possibilità di ricostruire tutti i piani sonori della scena acustita. Possibilità offerta invece in modo assolutamente naturale dalla tecnica NPS (con due sole casse frontali, naturalmente), che restituisce soprattutto alle sorgenti centrali (ma non solo) una posizione in profondità estremamente realistica.

Ripeto: visto che nel Deep Stereo le sorgenti centrali sono emesse da una cassa centrale fisicamente ben presente nella stanza e che le casse laterali non contengono segnali centrali, questa tecnica di fatto colloca tutte le sorgenti centrali alla distanza della cassa centrale mentre le sorgenti comprese fra il centro e uno dei lati appariranno a distanze (profondità) dipendenti dalle caratteristiche di dispersione delle casse impiegate (a noi non note né prestabilite in alcun modo).

Ora, dato che la parola Deep in inglese significa Profondo, mentre Flat significa Piatto, ecco perché sono del parere che la tecnica Deep Stereo proposta su Audio Review potrebbe molto più correttamente essere definita Flat Stereo.

Ed ora avendo risposto, spero abbastanza esaurientemente, alle tue domande 2 e 3, non mi rimane che rispondere alla tua domanda n.1 con un laconico e quasi disperato: “Nulla”.

Sono a disposizione per correggere e/o approfondire qualsiasi aspetto nonché tentare di chiarire qualsiasi eventuale dubbio, di chiunque. La Email di Audioplay la conoscete.