McIntosh VS Behringer

Salve egr.Ing Giussani,
preso dalla voglia di sperimentare ispirato dalla mail dove sostiene di preferire talvolta il Behringer al McIntosh, ho voluto fare una prova comparativa, usando le Sue 7/06.
Ebbene, ho provato una decina di amplificatori finali, tenendo come punto fisso il pre (audible Illusions M2D) e la sorgente (lettore file Wave lossless).
Ebbene il QSC RMX 2450 ovvero quasi uguale in tutto e per tutto al Behringer 2500, HA POLVERIZZATO TUTTI I MIEI DUBBI!
Non ho e ripeto NON ho mai sentito le 7/06 essere cosi dinamiche, veloci, musicali, insomma BELLE da sentire, ora sto riascoltando tutta la mia collezione, perché prima mi son perso tutto quello che c’era di dinamica e corposità del suono.
Appena riesco sostituisco C1 e C2 da 47uF con 2 condensatori in polipropilene dello stesso valore, visto che hanno una 20ina d’anni.
Il paragone con le DCM 3000 non si può fare, la sospensione pneumatica per la modesta opinione del sottoscritto rimane la più godibile dal mio punto di vista personale.
Sono alla ricerca delle Sue 7/03 che credo sia persa in partenza, essendo se non sbaglio un prototipo, ma un woofer da 18″ in sospensione pneumatica vorrei proprio sentirlo, proverò a sentire in giro se qualcuno le ha ancora, credo che sia una esperienza di ascolto unica, almeno per il sottoscritto, specialmente visto cosa offre il panorama commerciale al giorno d’oggi.
Come ha detto Lei l’altra volta, questa volta ho davvero visto la madonna!!

I miei ringraziamenti

Massimiliano Landi (Torino)


Caro Massimiliano,
sono contento che il risultato del tuo impianto ti soddisfi a tal punto. Ma mi vedo costretto ad alcune precisazioni.

Quando scrivi “…mail dove sostiene di preferire talvolta il Behringer al McIntosh…” mi fai sorgere non pochi dubbi sul fatto di essere riuscito a spiegarmi a dovere.

La mia personale opinione sul ruolo svolto dagli amplificatori finali di potenza negli impianti hi-fi è molto semplice:

mentre sono assolutamente convinto che chiunque possa sentire differenze qualitative, anche importanti, fra ampli diversi, non credo assolutamente che tali “sensazioni” possano dipendere davvero dal funzionamento degli ampli a confronto se non quando qualche apparecchio non sta funzionando come dovrebbe (ovvero come un generatore di tensione ideale: e gli ampli “pro” di cui stai parlando lo fanno in modo esemplare…).

Un amplificatore di potenza in realtà in un impianto deve svolgere un ruolo concettualmente abbastanza stupido, anche se non facilissimo nella pratica: per ciascun canale separatamente, deve prendere la tensione continua fornitagli dal suo stadio di alimentazione e la deve “modulare” attribuendole una forma d’onda il più simile possibile a quella del segnale presente al suo ingresso.

Il valore della corrente che nasce nella cassa e nello stadio di uscita dell’ampli allorquando tale tensione viene applicata al carico (la cassa stessa) non deve essere limitato da nulla.

Almeno fino a quando la manopola del volume non raggiunge la posizione tale che la tensione di uscita richiesta all’ampli non raggiunga il valore massimo erogabile. Che poi, a meno di pochi percento, non è altro che quello fornito dall’alimentatore.

A queste condizioni (di assenza di saturazione), ove gli stadi di uscita di più ampli a confronto siano caratterizzati da una impedenza interna sufficientemente bassa (un fattore di smorzamento superiore a 20, ad esempio) non è fisicamente e biologicamente possibile per un essere umano percepire reali differenze oggettive fra più ampli a confronto.

Ma questo non vuol dire che non si possano percepire chiaramente differenze “soggettive”, non dipendenti da “timbriche diverse a priori”, bensì conseguenti dalle condizioni d’uso.

– La più importante è quella che discende dalla possibilità dei diversi amplificatori confrontati di suonare in modo indistorto fino a livelli del tutto differenti fra loro, dipendenti dalla potenza massima erogabile da ciascuno. E tutti sappiamo bene quanto sia ampiamente variabile la risposta in frequenza e la curva di sensibilità delle nostre orecchie al variare del livello medio di ascolto.

– Un’altra differenza soggettiva discende sicuramente dalla diversa percezione del livello di ascolto correlata ad una differente posizione della manopola del volume. Posizione alla quale è connesso anche un differente andamento delle curva logaritmica di intervento della manopola stessa. Durante l’azionamento della manopola per raggiungere il livello d’ascolto preferito si avranno naturalmente sensazioni correlabili con la dinamica soggettivamente attribuita al segnale assolutamente differenti.

– Per non parlare del fatto stesso di “conoscere” quale ampli sta suonando e quale suono tutto il mondo ci dice che dovremmo aspettarci in tale situazione…

Le differenze più importanti rimangono però proprio quelle che ho escluso a priori quando ho ipotizzato un funzionamento ottimale di tutti gli ampli a confronto, dato che molto spesso tale condizione non è rispettata affatto:

A) Supponiamo per un attimo di trovarci in un ambiente domestico di caratteristiche acustiche “medie” e di voler ascoltare un programma stereo, con due casse dotate di una sensibilità di 86 dB/1W/1m, ad un livello globale medio di 86 dB SPL.

La mia esperienza in fatto di misure in camera anecoica ad 1 metro e in ambiente d’ascolto a 2/4 metri mi consente di affermare che in condizioni di ascolto stereofonico “normale” è molto alta la probabilità che per conseguire il livello medio indicato ciascun canale dell’ampli impiegato, debba fornire a ciascuna cassa proprio 1 Watt RMS medio. Ma i picchi di quel segnale hanno a loro volta una elevata probabilità di essere consegnati all’ingresso dell’ampli ad un livello superiore di 20 dB (ed oltre) rispetto al livello “medio”.

Ora, dato che 20 dB, quando si parla di potenza, significano “100 volte”, la condizione nella quale ci siamo appena messi richiederà che tutti i nostri ampli a confronto provino a fornire alle casse esattamente 100 Watt di picco.

Se fra quegli ampli ne avessimo messo uno da 50 Watt, o magari da 10… E’ del tutto normale che il suo suono appaia differente da quello di un Behringer da 500…

E questo è il motivo che, nonostante io disponga di almeno una decina di ampli hi-fi tutti “buoni”, mi ha spinto ad impiegare molto più spesso l’EP2500 rispetto a qualsiasi altro, durante le mie prove. Non si tratta di nessuna opinione particolare su un “suono migliore” o “peggiore” rispetto al McIntosh o a qualsiasi altro ampli, quando usati tutti non in clipping. Bensì la certezza che prima di vedere le lucine rosse del clipping del Behringer accendersi, il livello cui dovrei ascoltare sarebbe bel lungi da qualsiasi condizione umanamente considerabile “normale”… A casa mia.

B) Ove i cavi impiegati fossero a bassa resistenza (inferiore a 0,1 ohm) e fra i vari ampli a confronto ce ne fosse uno dotato di fattore di smorzamento 100 (RI=0,08 ohm) ed uno con fattore di smorzamento 10 (RI=0,8 ohm), nel primo caso la RT ampli+cavi diventerebbe 0,18 ohm e nell’altro 0,9 ohm.

E, in simili condizioni, quando le casse hanno una impedenza un po’ bassa, di differenze se ne sentono e come:

Con un minimo dell’impedenza delle nostre casse pari a 4 ohm, ad esempio, nel primo caso alla frequenza cui corrisponde quel minimo avremmo una attenuazione della risposta delle casse pari a 0,38 dB, mentre nel secondo caso la attenuazione localizzata della risposta sarebbe di 1,76 dB. E sfido chiunque a non sentire una differenza (molto probabilmente localizzata fra i 100 e i 300 Hz) di ben 1,38 dB…!

ESB 7/03
ESB 7/03

Quanto alle 7/03. Sono molto fiero di questo progetto, con il quale ho anticipato di almeno una ventina d’anni le considerazioni dei ricercatori che stanno finalmente verificando quanto le dimensioni dei woofer siano in grado di influenzare di molto la resa in ambiente di ascolto di qualsiasi diffusore acustico.

In parole povere: più il woofer è grande e più si riesce a trasferire energia all’ambiente anche alle frequenze al limite inferiore della risposta in frequenza. Ovvero: due casse aventi la stessa risposta alle basse frequenze in campo libero, ma woofer di dimensioni molto diverse, una volta portate in un ambiente d’ascolto chiuso dimostreranno una capacità molo differente di trasferire le frequenze più basse all’ambiente stesso, anche se ascoltate (o misurate) a confronto ad un livello tale da non limitare le prestazioni dinamiche della cassa più piccola.

Da cui, la mia scelta di scegliere, per il diffusore top della serie 7 (nato per ultimo), il woofer più grande di cui potevo disporre. Un 18″ da 4 ohm opportunamente modificato ed appesantito.

Un altro motivo di vanto è per me costituito dal design di queste casse che, nate dopo le 7/05 (iniziatrici della serie) e le 7/06 (il modello più “commerciale”), sono frutto esclusivo (come peraltro anche le precedenti della serie) della mie personalissime considerazioni tecniche e della mia personalissima matita.

La soluzione “No Architect” per una volta sembrerebbe aver funzionato sufficientemente bene…